venerdì 15 maggio 2009

ROSE PLEBEE

Siamo come fiori in fiore. Beviamo del buon tè. E ci sfaccettiamo le rughe ovvero pieghe che abbiamo sulla fronte. Ci grattiamo la testa sentendo bene i discorsi delle persone nei luoghi chiusi. Ci crediamo e ci ascoltiamo. Poi vedere che tutto cambi forma davanti a te, vedere che anche il muro cambia forma. Vedere le scritte sul muro bianco e pensare ad un modo per impiegare meno tempo nel cancellarle. Il giardino è formato da rose di troppi colori. Ti portavo addirittura le rose. Sai ho una rosa ancora nella casacca. Da due anni. Ma non è pere te. Sai che mi gusterò cosi bene questo bel finale in bianco e nero in diretta sulla mia vita? Lo sai che imparo ogni giorno a sminuirti?. Poi mi dici -dio non chiamarmi più anche se non ce la faccio!-. poi mi vengono a fare gli assalti varie persone nel mio cuore che sa di deodorante ammuffito, deteriorato, stantio, andato a male come tutte le cose che continuo a formarmi nella testa. Poi sentire canzoni al sapore di rose. Siamo ancora giovani per i pentimenti. Siamo troppo contrari a quello che vorremo. Siamo schietti per affrontarci, sai le sfide se vengono gettate in faccia vanno colte al volo, io la sfida anche se all’apparenza sembra persa, l’ho vinta. Sei una povera in cerca di sesso. E lo sappiamo un po’ in tanti. Quindi cercati un bell’organo. Suona un bell’organo. Magari quello delle chiese. O un bel pianoforte. Che però sia maledetto. Ti maledirei con tutto il cuore dalla mattina alla sera e non è per gioco. Ti farei del male e non è per gioco. Desiderò il peggio per te e non è per gioco. Facevamo giochi troppi grandi per noi E NON E’ PER GIOCO. Ci siamo cosi incazzati che dal muro di quella casa per poco non cadeva l’intonaco. Poi pregare la mattina per una santo che è morto e non risorto. Ti dico grazie ma non ti do importanza. Ti dico ciao. Perché non hai importanza. La lontananza è qualcosa di sublime che ricuce i pezzi degl’organi vitali. Lavoravamo come schiavi nelle notti dalle stelle che ci correvano sui piedi.